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Tutti gli utenti hanno sicuramente notato un cambiamento nel News Feed di Facebook, dove tendono ad apparire contenuti selezionati dall’algoritmo di Zuckerberg.

In base a cosa viene condotto questo screening? Il software individua le pagine e i profili da mostrarci nella Home in base a ciò che più ci piace. E allora la domanda sorge spontanea: come può esser capace una piattaforma online di comprendere le nostre preferenze? L’indice è dato dalle nostre interazioni.

Questo vuol dire che più interagiamo, cliccando sul singolo post, commentando o condividendo, più Facebook riterrà per noi interessante quel contenuto e tenderà a mostrarci nel News Feed profili e pagine in linea col nostro “Like”. Fin qui, nulla da ridire. Potremmo considerare il nuovo algoritmo di Facebook come un metodo per rendere più coerente il nostro zapping online. Se non che tutto ciò si traduce in una graduale ma continua perdita di visibilità di tutti quei contenuti "considerati" meno pertinenti. Lo svantaggio per aziende e brand è un effetto collaterale.

 

Come funziona l'algoritmo di Facebook?

Entrando più nel dettaglio e trattando la questione dal punto di vista del Social Media Management, possiamo dire che ci troviamo di fronte a un calo della reach organica. Cos’è la reach organica?

Facciamo una precisazione: quando parliamo di Social Media Marketing, esistono due forme per posizionarsi, una si basa sull’organico e un’altra sfrutta l’advertising a pagamento. Nel 2018 la differenza tra organic e paid porta con sé tante differenze anche in termini di visibilità.

Scegliere a monte quale sia la strategia migliore richiede una serie di valutazioni tecniche, che vedremo meglio in seguito e che possono cambiare strada facendo.

Scopriamo cosa è successo alla reach organica dei post. Ne è stata fatta parecchia di strada da quel lontano 2004, anno di fondazione del social blu. Negli ultimi anni com’è cambiato l’algoritmo di Facebook?

  • Vengono premiati i contenuti informativi;
  • Viene penalizzato il titolo che genera click baiting;
  • Sono guardati con favore i contenuti mobile-friendly;
  • Vengono favorite le notizie provenienti da fonti affidabili, per contrastare le fake news;
  • A partire da gennaio 2018, hanno gradualmente perso di visibilità tutte quelle pagine e quei profili con cui l’utente interagisce poco.

Condannato e considerato come un vantaggio indiretto per tutte le pagine che ricorrono alle Facebook Ads, l’aggiornamento dell’algoritmo è stato motivato da Zuckerberg sottolineando in primo luogo l’importanza delle interazioni. In secondo luogo, lo screening dei contenuti ha un obiettivo ben preciso: far sì che l’utente possa fruire più facilmente di contenuti più rilevanti, selezionati in base ai suoi interessi. Quindi, la modifica va considerata sempre come una miglioria a favore dell’utente.

La conseguenza quasi automatica è stata l’aumento della reach dei post a pagamento, cioè quella derivante dai budget di advertising per le varie sponsorizzazioni.

 

Dalla parte delle aziende: come contrastare il calo?

Preso atto del calo della reach organica, come possono reagire aziende e brand per posizionarsi ugualmente e sfruttare le potenzialità di Facebook come canale per fare marketing?

Partendo sempre dal concetto di interazione, se la tua pagina è seguita da utenti particolarmente attivi che, a loro volta, fanno community e creano traffico, ci sono buone possibilità che i tuoi post continuino a godere di una rilevante visibilità. Lo stesso vale per tutte quelle pagine con uno storico alle spalle, mentre verranno penalizzate quelle nate da poco o dove la condivisione è poco frequente.

Esistono delle best practices per non rischiare di perdere visibilità?

È possibile sperimentare la strada dell'advertising, fissando un budget giornaliero che aiuti a mantenere quanto più stabile possibile la copertura della nostra pagina. Negli ultimi anni tanti brand hanno aumentato gli investimenti pubblicitari: se parte di una strategia e profilate con precisione, le campagne garantiscono ottimi risultati in termini di engagement e non solo.

Punta sempre sulla qualità dei contenuti! È sicuramente meglio programmare un post in meno a settimana, ma prediligere un testo chiaro, coerente, ricco di informazioni utili per l’utente, che apporti valore e che risulti interessante per chi lo legge. Anche Google premia la coerenza e la presenza di informazioni utili e in linea col target, che soddisfino il search intent dell’utente.

Scegli il contenuto del momento. Per esempio, nell’ultimo periodo sono molto in voga i video: suscitano più interesse e gli utenti cliccano più facilmente. Quindi, valuta se inserire in programmazione una serie di contenuti video che vadano ad aumentare la reach della tua pagina Facebook. Le strategie di marketing puntano tanto sui dati: analizzali e, non appena ti rendi conto che funzionano, puoi scegliere di implementarli.

Avvalendoti dei Facebook Insights, controlla le fasce orarie in cui i tuoi utenti sono più attivi online e imposta la programmazione del tuo post di conseguenza. Anche nel web marketing il tempismo è fondamentale, quindi fai attenzione al timing. Si tratta di un piccolo accorgimento che può farti guadagnare maggiore visibilità.

In genere, favorisci le interazioni, studia il linguaggio adatto in base all’audience a cui ti rivolgi e invoglia l’utente a cliccare. Per esempio, potresti inserire una call to action nel lancio dei tuoi articoli. Ogni minimo dettaglio può fare la differenza.

Alla fine, dai un’occhiata ai dati su Analytics, fonte di informazioni preziose, per scoprire se sei riuscito a contrastare in modo efficace il calo della reach organica causato dall’algoritmo 2018 e come migliorare ancora di più le interazioni sulla tua pagina.  

Se non sai da dove partire e hai bisogno di qualcuno che ti indichi e svolga al posto tuo gli step necessari per posizionarti su Google, nella Home di Facebook e aumentare la copertura e le interazioni della tua pagina aziendale, puoi rivolgerti al team di Go Project. Siamo qui per darti una mano e fornirti la soluzione digitale migliore!

Da quando internet, i computer e l’hi-tech sono entrati a far parte della nostra vita quotidiana, abbiamo assistito a un’evoluzione costante di tutti gli ambiti che essi influenzano. Uno degli ultimi figli del progresso tecnologico è proprio l’E-commerce.

La nuova frontiera del commercio è quello online. L’e-commerce sta attraversando un boom. Si tratta di un effetto della crisi? Alcuni economisti ritengono che alla chiusura di attività ed esercizi commerciali ha fatto seguito l’apertura di tantissimi shop online, che hanno fatto innalzare l’asticella dell’e-commerce.

 

Dati alla mano: I trend dell’e-commerce in Italia

Secondo i pronostici la crescita continuerà. Quali sono i numeri e i trend del settore in Italia?

Si registra in Italia un aumento pari al 17% dal 2016 al 2017: gli italiani hanno acquistato online più che mai, spendendo ben 23,6 miliardi di euro, di cui 12,2 miliardi riguardano i prodotti, mentre i restanti 11,4 miliardi fanno riferimento ai servizi. Il dato è storico, perché per la prima volta in Italia il mercato dei prodotti supera quello dei servizi. Quali settori hanno trainato la crescita?

Il capofila è quello relativo all’informatica e all’elettronica, che è aumento del 28%: parliamo di 4 miliardi di euro di acquisti. Segue l’abbigliamento con un fatturato di 2,5 miliardi.

Cifre più basse - pari a 900 milioni - ma percentuali di crescita elevatissime sono state registrate nel mercato del food e nel mondo dell’arredamento, rispettivamente col 43 e 31 punti percentuali. Ottimi risultati anche nel settore dell’editoria: gli utenti hanno acquistato online per un totale di 840 milioni di euro.

L’impennata è stata causata anche da validissime strategie di marketing adottate dalle aziende colosso del settore, come Amazon, e dalle “ricorrenze” indette online, come gli ormai famosissimi Black Friday e Cyber Monday.

E-commerce e digital marketing: il binomio vincente

Il modello di business è vantaggioso da tantissimi punti di vista, tant’è che migliaia di commercianti si sono convertiti al commercio elettronico, che negli ultimi 10 anni ha conquistato il web di tutto il mondo. Quando si tratta di web, protagonista assoluto è il digital marketing che, abbinato al modello dell’e-commerce, diventa l’occasione per creare una strategia vincente. Come si crea un e-commerce?

Le domande da porre prima di tutto riguardano: Quali sono gli obiettivi? Qual è il nostro target? Chi sono i nostri competitor? In una parola, devi condurre un’analisi di mercato i cui risultati siano in grado di fornirti risposte abbastanza dettagliate da permetterti di mettere su una strategia vincente e mirata.

Passiamo al lato più tecnico: qual è la piattaforma più adatta per la vendita dei tuoi prodotti/servizi? La maggior parte delle aziende puntano su Magento, uno dei più famosi software per la gestione dell’e-commerce, accanto a WordPress col suo plugin WooCommerce, Joomla con VirtueMart e PrestaShop. I parametri più importanti da tenere in considerazione per scegliere quello che risponde meglio alle esigenze del tuo business sono:

  • Le funzionalità offerte dalla piattaforma;
  • La semplicità, sia nella navigazione per il cliente (Customer Experience), sia nella gestione da parte del team aziendale;
  • La possibilità di integrazione con altri tool;
  • La possibilità di ottimizzare i contenuti in termini SEO;
  • I margini di personalizzazione a livello grafico;
  • La possibilità di elaborazione di report e statistiche.

Infine, una delle novità del momento riguarda la possibilità di acquistare online attraverso i social, senza essere reindirizzati a una pagina esterna. Si chiama Social Commerce ed è una funzionalità sia di Facebook che di Instagram. Si tratta di un’opzione ancora in fase di sperimentazione ma, considerando l’aumento degli acquisti da mobile, il pulsante “Acquista” promette già ottimi risultati.

Il digital cambia velocemente, insieme agli strumenti del mestiere. Ognuno di essi è adatto a determinate esigenze e risponde a specifici bisogni dell’utente.

Abbiamo già parlato di Lead Generation e di come sia uno dei passaggi fondamentali per acquisire nuovi clienti. Durante questa fase e, ancor di più, in quella successiva di gestione dei contatti, si inserisce l’Email Marketing.

Email Marketing: quali tool utilizzare?

Innanzitutto, chiariamone i tratti fondamentali. Per Email Marketing si intende, infatti, l’invio di messaggi, di contenuto commerciale e non, a clienti e potenziali clienti. Esso è un ottimo mezzo per ottenere un contatto in modo rapido e a un costo abbastanza basso e costruire con esso una vera e propria relazione.

Le campagne email, in quanto step fondamentale per aumentare il traffico al nostro sito aziendale e fare un passo in avanti verso la fidelizzazione del cliente, meritano attenzione. Ricorrere a una piattaforma di Marketing Automation è la soluzione.

Se tu e il tuo team volete essere sempre al passo con la tecnologia e sfruttare le risorse che la cerchia degli sviluppatori web ci mette a disposizione, di seguito trovate una lista dei 3 tool che fanno al caso vostro.

Come fare Email Marketing? Ecco diversi strumenti per gestire tutto il processo di email delivery dall’inizio alla fine.

  1. MailChimp. Nato nel 2001, è uno degli strumenti più utilizzati dalle aziende per automatizzare le strategie di marketing. La piattaforma consente di creare newsletter (e non solo), mettendo a disposizione dell’utente diversi template gratuiti oppure dandogli la possibilità di crearne di nuovi ad hoc. A questo punto, puoi programmare a tuo piacimento l’invio delle email e gestire tutto i contatti del tuo database.

Il profilo Free ha dei limiti: fino a 2.000 contatti e 12.000 email mensili. Se il tuo business richiede l’utilizzo di funzioni più specifiche o vuoi raggiungere un più ampio range di persone, la piattaforma di Marketing Automation prevede diversi piani di abbonamento (Growing Business e Pro). Inoltre, la gestione integrata delle campagne su Google, Facebook e Instagram ti aiuta a raggiungere l’audience.

  1. Uno dei drammi del ventunesimo secolo è la mancanza di tempo. Per questo, la possibilità fornita da piattaforme come MailUp di automatizzare il lavoro è un’ottima risorsa digital. Fondata nel 2004, essa è dotata di un sistema particolarmente intuitivo, grazie al quale ha scalato i mercati internazionali e conquistato i dipartimenti di marketing delle multinazionali.

Registrandoti alla piattaforma - a titolo gratuito o a pagamento - potrai svolgere diversi task in poco tempo (sia e-mail che SMS). Entriamo più nel dettaglio per capire come funziona MailUp. Offerte, promozioni, newsletter, MailUp si presta a varie applicazioni, dai siti di e-commerce alle banche, passando ovviamente per tutte quelle aziende che fanno dell’Email Marketing parte integrante della loro strategia. Una delle funzionalità, vista di buon occhio dai social media manager, è quella che consente la gestione delle DEM da un’unica piattaforma. A ciò si aggiunge la possibilità di segmentare i contatti, cosicché il tuo contenuto sia “appetibile” per il destinatario e, in tal modo, conduca gradualmente alla conversione.

  1. Avete mai sentito parlare di Sendin Blue? Creazione, gestione, monitoraggi e relativa reportistica, segmentazione: queste attività sono racchiuse sulla piattaforma web. Il Piano gratuito prevede un limite massimo di 300 email giornaliere e non possiede alcun tetto massimo per il numero di contatti. Mentre, le opzioni a pagamento che offre questo strumento di marketing raggiungono i 120.000 invii al mese. Se vuoi invogliare l’utente all’acquisto di un determinato prodotto o ad iscriversi alla tua newsletter mensile, SendibBlue ti garantisce tantissime funzionalità utili per far sviluppare il tuo business nella direzione giusta.

Infine, tutti i tool di gestione delle email di cui abbiamo parlato sono conformi al GDPR - General Data Protection Regulation.

Ogni azienda che si rispetti è presente online: il sito corporate e i canali social sono  il mezzo principale per condividere all’esterno tutte le attività. I contenuti trasmettono un messaggio e, una volta condivisi sulle pagine dei social dell’azienda, devono pilotare il traffico verso il sito.

A questo punto, gli utenti che approdano sulle landing page, se ritengono interessante la nostra offerta, possono trasformarsi in clienti che richiedono i nostri prodotti o servizi.

Ci troviamo nella fase iniziale del cosiddetto funnel di vendita, del quale la Lead Generation costituisce il primo passaggio. Vediamo cos’è e perchè è importante.

Per Lead Generation si intende l’acquisizione di nuovi clienti. Quell’attività di gestione commerciale che un tempo veniva realizzata attraverso le cosiddette “chiamate a freddo”, che poi si è evoluta sotto forma di email marketing a freddo, adesso è entrata a far parte a tutti gli effetti della strategia di marketing adottata dall’azienda. Il significato di lead è infatti nominativo, contatto.

Il punto di forza della Lead Generation è dato dal fatto che i contatti acquisiti sono già potenzialmente interessati a ciò che vendiamo. Non si tratta di individui qualsiasi, ma di lead qualificati, perché il nostro prodotto è già potenzialmente adatto a soddisfare un loro specifico bisogno. Si parla di generation perché lo scopo di queste strategie di marketing è quello di instaurare relazioni durature nel tempo e che non si esauriscano nel singolo contatto.

 

Generare lead: come funziona?

Compreso il contesto di riferimento entro cui va collocata, la domanda che sorge spontanea è come fare Lead Generation?

Innanzitutto, focalizziamo l’attenzione sul nostro target: a chi vogliamo rivolgerci? Si tratta di una decisione fondamentale, da cui potrà dipendere l’efficacia di tutto il processo di vendita. In base all’individuazione del target, potremo scegliere quale strumento utilizzare per generare lead. Il digital marketing fornisce diverse possibilità:

  • Campagne Adwords e Facebook;
  • Email Marketing;
  • Social Media Marketing;
  • Content Marketing, a cui abbinare l’attività di SEO per un efficace posizionamento sui motori di ricerca;

Nelle DEM riveste un ruolo fondamentale il Lead Magnet. Di che si tratta? Un esempio concreto è inserire un form nella newsletter, compilando il quale il destinatario può registrarsi per beneficiare di sconti e informazioni utili, così divenendo un lead da fidelizzare. Un ottimo mezzo è la Squeeze Page, cioè inserire nell’email un contenuto estremamente utile (per esempio, un e-book, una guida in PDF o un template creativo per il cv visual), che può essere scaricato dall’utente in cambio dei suoi dati personali. Una forma di do ut des a beneficio dell’utente e dell’azienda, che aggiunge contatti al suo database. Così il nominativo dell’utente entrerà a far parte della nostra mailing list.

Come fare Lead Nurturing: i tool

Dopo l’acquisizione, il lead va “curato”. Siamo nella fase di Lead Nurturing, che riguarda proprio la gestione dei contatti della nostra lista. Quest’attività si prefigge lo scopo di accompagnare il cliente fino al momento dell’acquisto. Durante questa fase, una strategia di lead generation è efficace quando è in grado di generare nei consumatori un sentimento di credibilità e affidabilità sul brand. Il fine è instaurare una relazione con loro, il mezzo è rappresentato dai contenuti di valore, accompagnati da strategici investimenti in advertising online. Inoltre, è innegabile il contributo che danno le piattaforme di Marketing Automation per convertire nuovi contatti e fidelizzarli a lungo termine (per esempio, MailChimp o MailUp).

Infine, l’attività di Lead Generation rientra nella categoria dell’Inbound Marketing. Infatti, il brand viene promosso con modalità non invasive, fornendo valore aggiunto al cliente, che potrà navigare sul nostro sito se riterrà la nostra offerta adatta a soddisfare il suo bisogno.

Inbound e outbound marketing: sono tante le domande che ruotano attorno al quesito su quale sia l’approccio migliore. Tenendo presente che l’universo digital è in divenire, vediamo innanzitutto qual è la differenza tra questi due macro-ambiti del web marketing.

Il termine chiave con cui definire l’outbound è "interrupting marketing" e la motivazione è semplice. Le offerte di prodotti o servizi vengono presentate agli utenti distogliendo la loro attenzione proprio mentre sono concentrati su altro. Per questo viene definito come marketing dell’interruzione, perchè potrebbe trattarsi anche di un messaggio fuori contesto e non in linea con i bisogni dell’user; potrebbe essere percepito come invasivo o ridondante.

Al contrario, l’inbound marketing fa leva su prodotti o servizi per i quali il consumatore ha già mostrato interesse. Com’è possibile? Perché si basa su vere e proprie strategie di marketing, di cui fanno parte anche le campagne pubblicitarie ad hoc. Vediamo come agiscono e quali sono le differenze principali.

 

Qual è il significato e l’approccio migliore?

L’outbound marketing instaura una conversazione che possiamo definire a senso unico, dal momento che non risponde a un reale bisogno mostrato dall’utente, ma indirizza il messaggio a un ampio range di potenziali consumatori, alcuni dei quali potrebbero essere intercettati e diventare clienti.

Si tratta del metodo tradizionale di fare pubblicità e utilizza la radio, la tv, gli spazi pubblicitari sui quotidiani o i classici volantini, o ancora i pop-up che appaiono online durante la navigazione o l’email marketing (a freddo).

A differenza dell’inbound marketing che predilige altri canali di comunicazione, quali i blog (purchè ottimizzati secondo i parametri SEO), le campagne sui social e PPC (Pay-Per-Click).

 

Il ROI e gli strumenti: pro e contro

Entrambi i metodi hanno un obiettivo comune: l’incremento delle vendite e del fatturato. Eppure non sono soltanto le attività strumentali ad essere diverse, ma anche i relativi costi.

Le statistiche mostrano un ROI (Return of Investment) più elevato nell’inbound marketing. Perchè?

Il punto di forza dell’inbound marketing è dato dal fatto che, basandosi su una cerchia più ristretta di utenti, cosiddetti targettizzati, promette maggiore efficacia, perché si rivolge a soggetti che, in base agli interessi mostrati, potrebbero avere già l’intenzione di acquistare il nostro prodotto.

Infatti, le campagne di PPC rientrano in questa categoria perchè, profilando il pubblico, sono indirizzate a chi ha le carte in regola per apprezzare il nostro servizio. Lo stesso vale per i contenuti del nostro blog aziendale: essi potrebbero essere collegati ai prodotti che vendiamo e fornire informazioni utili all’utente che effettua una ricerca online. Anche in questo caso, essi rispondono a un bisogno di chi naviga online: la ricerca di informazioni.

Alla fine dei giochi, questi strumenti tipici dell’inbound marketing sono meno costosi rispetto ai tradizionali spot televisivi, che richiedono un maggiore investimento senza promettere risultati certi.

Al tempo stesso, l’outbound marketing è la scelta giusta quando si tratta di raggiungere un target che preferisce i tradizionali mezzi pubblicitari (per esempio gli over 65).

Non esiste una strategia migliore a priori, ma ogni azienda deve valutare in base alla situazione concreta e alle risorse a disposizione. Senza escludere la possibilità di optare per una strategia integrata, che combini insieme inbound e outbound marketing.

Il 21 giugno di ogni anno ricorre la “Giornata Nazionale per la lotta contro le Leucemie, i Linfomi e il Mieloma”, promossa da AIL.

L’iniziativa persegue un duplice obiettivo: da un lato, mira a sensibilizzare la popolazione sul tema delle malattie del sangue, dall’altro favorisce un’informazione puntuale, aggiornando su tutti i progressi della Ricerca Scientifica compiuti nel campo grazie all’impegno di tutti coloro che lavorano e gravitano intorno all’Associazione per la cura delle Leucemie, Linfomi e Mieloma. L’associazione è attiva dal 1969 nel promuovere l’informazione, la prevenzione e la ricerca sulle malattie ematologiche.

Stante l’importanza a livello nazionale, quest’anno per l’occasione anche Ospitalità Italiana si è schierata al fianco di AIL col progettoInvita Fuori la Ricerca. Dal 17 al 24 giugno 2018 tutti gli aderenti diventeranno Ambasciatori AIL della Ricerca Scientifica, donando parte del ricavato della settimana alla Ricerca Scientifica.

Non solo aderente, ma anche promotore dell’iniziativa è Ospitalità Italiana, marchio di qualità rilasciato a migliaia di strutture turistiche in tutta Italia da Isnart - Istituto Nazionale Ricerche Turistiche, che si occupa di analizzare e pubblicare i dati relativi al settore turistico in qualità di Osservatorio.

La Ricerca Scientifica ottiene una spinta in più grazie a questa collaborazione tra AIL e Ospitalità Italiana: due importanti realtà del panorama italiano che si impegnano per combattere i tumori del sangue, per migliorare le condizioni di vita dei pazienti che ne sono affetti e per sostenere l’operato dei volontari.

Infatti, sono più di 250 le strutture turistiche nazionali che hanno acquisito il ruolo di Ambasciatori AIL della Ricerca Scientifica, così sostenendo a livello economico i tantissimi progetti portati avanti dall’Associazione.

Quali sono le destinazioni previste per i fondi che verranno raccolti in seguito all’iniziativa Invita fuori la Ricerca? Dalla realizzazione di nuovi laboratori all’acquisto di apparecchi hi-tech per l’analisi e la cura dei pazienti, compresa l’erogazione di borse di studio riservate a medici e ricercatori.

La lista completa degli operatori che hanno aderito è disponibile sul sito www.ail.it, dove potrai cercare la struttura affiliata più vicina a te e contribuire anche tu alla lotta contro le malattie ematologiche. Scopri le strutture aderenti e contribuisci anche tu alle donazioni in favore di AIL. 

Sono passati 15 anni dall’apertura della Go Project Srl: era il 7 giugno del 2003 e ne è stata fatta di strada. L’azienda ha avuto il piacere di collaborare attivamente con Istituzioni, clienti e colleghi, ognuno dei quali ha contribuito alla crescita personale e professionale.

In occasione del 15° anniversario, Go Project ha inaugurato i nuovi uffici in Viale Liegi 32, a Roma. Si tratta di un traguardo sentito e che siamo orgogliosi di poter condividere con chi ci ha sempre supportato.

Fin dalla sua costituzione, la società ha creduto nella forza dell’innovazione, ancor più in un territorio come il nostro in cui, con la dovuta precisione, è possibile fare tanto per migliorare il tessuto circostante, anche in termini imprenditoriali.

L’Italia e l’intera area metropolitana di Roma hanno tutte le carte in regola per essere terreno fertile per tutte le imprese che vogliono implementare l’offerta di prodotti e servizi per il cliente, passando dalla digitalizzazione.

Go Project ha sempre confidato nelle possibilità di sviluppo e ha partecipato ai processi di digital transformation dei singoli e delle aziende che hanno scelto la strada dell’innovazione. Abbiamo raccolto un bagaglio di esperienze e case history che oggi siamo lieti di mettere a disposizione di coloro che credono nel potere del fare impresa.

Queste convinzioni si sposano con il nuovo concept che ha mosso la ristrutturazione dell’azienda. Infatti, la nuova sede di Viale Liegi risponde perfettamente a questo intento di rinnovazione. Lo scopo primario del progetto è rendere gli spazi di lavoro funzionali alle tante attività che ogni giorno il team di Go Project si impegna a realizzare. Dallo sviluppo software alle strategie di digital marketing, passando per il Project Management, tutte le soluzioni digitali elaborate mirano a più obiettivi.

I nuovi uffici sono stati pensati per rispondere alle esigenze di organizzazione e condivisione del lavoro. Attenzione particolare è stata prestata ai bisogni dei membri del team Go Project per valorizzarne competenze e personalità.

«I nuovi uffici sono stati appositamente realizzati a misura di dipendente» - tiene a sottolineare Gianfilippo Valentini, CEO di Go Project Srl, il quale conclude precisando quanto sia importante per la realizzazione di progetti di comunicazione digitale la sinergia tra creatività, design e sviluppo software in un’unica struttura, obiettivo che la nuova sede realizza appieno.

Si chiama funnel, si legge percorso. La traduzione letterale è “imbuto”. Qual è il nesso con il marketing? Il concetto di funnel rimanda alla user journey, cioè al percorso compiuto online dall’utente, il cui passaggio finale è dato dal momento dell’acquisto, che equivale alla fidelizzazione.

Quali sono gli step all’interno del funnel di vendita?

 

Dalla lead generation alla conversione

Il nostro punto di riferimento è il modello AIDA, acronimo con cui si indica una tecnica di vendita basata su 4 elementi: Attention, Interest, Desire, Action.

La fase iniziale comprende la lead generation, cioè la cosiddetta generazione di utenti potenzialmente interessati ad acquistare il nostro prodotto o servizio. Non a caso questa strategia rientra a pieno titolo in quella macro-categoria che prende il nome di Inbound Marketing.

Se pensiamo a un imbuto, la sua forma ci suggerisce che entra molto ed esce poco. Questa osservazione - se trasposta nel digital marketing - indica che il numero degli user che “entrano” nel canale di vendita è sensibilmente maggiore rispetto a quelli che effettivamente si convertono, cioè - in una parola - acquistano, così diventando clienti del nostro brand.

L’obiettivo primario è attirare l’attenzione dell’utente, in modo tale da guidarlo lungo il tragitto fino alla conversione, che rappresenta il fine ultimo del funnel marketing. Infatti, non appena l’user mostra interesse nei confronti del prodotto offerto dalla nostra azienda, possiamo considerarlo interessato: egli è un lead a tutti gli effetti.

Eppure, non è detto che un lead si traduca in un cliente. Sono necessari altri step per far sì che passi all’azione, che può essere data dall’acquisto sul nostro e-commerce oppure dal clic sulla call to action per l’iscrizione alla nostra newsletter.

Inoltre, una volta generato, il lead va anche coltivato. Nel digital marketing questa attività prende il nome di lead nurturing, termine con cui si fa riferimento non solo alla gestione ma anche alla cura della relazione con i contatti, instaurando una vera e propria connessione one-to-one.

In questa fase il canale per eccellenza è dato dall’email marketing, i cui tool permettono di veicolare messaggi targettizzati che stimolino il desiderio di acquistare.

Questa è la panoramica generale del sales funnel. Adesso vediamo nello specifico come si compongono i vari passaggi nel canale e quali strategie di web marketing possono fare al caso nostro.

Funnel di conversione: come funziona?

Quello che vogliamo è generare traffico - il più qualificato possibile - verso il nostro sito. Il primo passo è farsi conoscere, promuovendo online la nostra offerta e migliorando la Brand Awareness.

In un secondo momento, per esser certi di rivolgerci a un pubblico in linea col nostro business che potrebbe ritenere interessante il prodotto o servizio che offriamo, è bene impostare una campagna di advertising attraverso Adwords e, se adatto al nostro target, anche su Facebook Ads. Questo passaggio ci permette, infatti, di profilare il pubblico a cui ci rivolgiamo, in modo tale da presentare e offrire il nostro prodotto a quella cerchia di utenti che possono avere un reale interesse all’acquisto.

Accanto alle sponsorizzazioni, non sottovalutiamo mai il potere che ha la SEO in una strategia di content marketing, perché anche gli utenti che provengono dalla ricerca organica sono ottimi lead in entrata.

Una volta attirata la loro attenzione, è il momento di generare interesse. A livello pratico, potrebbe essere utile creare una serie di landing page a cui rimandare, in cui far atterrare l’utente e da lì, anche mediante una UX ben curata, guidarlo nel processo di acquisto.

La formula AIDA prende in considerazione anche il desiderio, che un funnel marketing efficace deve innescare nell’utente. In tal caso si fa leva anche sull’aspetto emotivo che può ricollegare il consumatore al nostro brand.

Teniamo sempre presente che lo scopo della navigazione online è la ricerca di informazioni. Più il nostro sito sarà percepito come utile, interessante e ricco di contenuti pertinenti, in linea col search intent dell’utente, maggiori saranno sia le possibilità che egli faccia ritorno sul nostro web-site (returning visitor) sia il tasso di conversione (CRO - Conversion Rate Optimization). Per realizzare questo obiettivo, potrebbe essere una buona idea inserire un’apposita sezione blog oppure un insieme di schede prodotto dettagliate. Anche questo vuol dire rispondere a un bisogno dell’audience.

 

Un approccio customer-centric per le fasi post-acquisto: 

A questo punto possiamo dare avvio a un nuovo ciclo, anch’esso formato da diverse fasi, nelle quali l’utente, oramai cliente, è e rimane sempre al centro della nostra strategia di marketing. D'altronde le tendenze del web marketing sono orientate in questo senso: si predilige un approccio customer-centric.

Quali sono gli step e le attività da compiere dopo la conversione?

  • La retention, cioè tutte quelle relazioni durature nel tempo. In questa fase si rivelano preziose le attività di email marketing, automation compresa, attraverso le quali stabilire una conversazione diretta col cliente.
  • La expansion, che prende avvio quando il cliente può dirsi fidelizzato: egli, avendo acquistato il nostro prodotto o servizio, ne conosce i punti di forza e rappresenta la leva per estendere il nostro raggio di azione. Ci troviamo nella fase di Up-selling e Cross-selling, il cui mezzo per eccellenza è il remarketing.
  • La advocacy: siamo nella fase post-acquisto e proprio in questo momento si rivela importante migliorare ulteriormente l’esperienza dell’utente, in modo tale che, attraverso il WOM (Word of Mouth) i valori del nostro prodotto raggiungano altri potenziali clienti. Qual è un mezzo adatto? Sicuramente i social media, sulle cui piattaforme è possibile creare vere e proprie community.

GME, leader nel settore energetico, si occupa della gestione e dell’organizzazione del mercato elettrico in tutta Italia. La società, acronimo di Gestore dei Mercati Energetici, è responsabile della stipula dei contratti di vendita e acquisto dell’energia elettrica su base oraria. Le relative transazioni sono possibili mediante un’apposita piattaforma, sviluppata da Go Project.

Quando si tratta di fare innovazione, l’agenzia s’impegna sempre per soluzioni efficaci e, forte del suo know how tecnologico, ha lavorato alla realizzazione, manutenzione e sviluppo software per la gestione delle piattaforme di mercato e dei servizi interni al GME.

La tecnologia prevalentemente utilizzata è stata il Framework.NET, insieme a tutte le relative componenti:  C#, MVC, WPF, WCF, Web Form e Sql Server.

Le informazioni sugli impianti online con PIP

Accanto alla gestione del sito istituzionale di GME, Go Project ha realizzato due piattaforme pubbliche: PIP e MPEG. Di che si tratta?

PIP - Piattaforma Informazioni Privilegiata facilita agli operatori del mercato la comunicazione e la condivisione delle informazioni, in particolare sulle attività di manutenzione e sul corretto funzionamento degli impianti di produzione del Gas e dell’Elettricità.

Accedendo, gli operatori del mercato energetico possono caricare e rendere pubbliche le cosiddette informazioni privilegiate, che sarà possibile consultare facilmente sul sito. Nell’apposita sezione, infatti, sono presenti le singole schede, distinte tra Power e Gas, con tutti i dettagli relativi alle attività di manutenzione in corso, da compiere e già compiute.

La scheda mostra l’operatore, l’impianto, il tipo di corrente (elettrica o a gas) che produce, l’area di riferimento, l’inizio e il termine dell’attività di manutenzione e le conseguenze (ad esempio una diminuzione della capacità in MW dell’impianto se si tratta di luce). È possibile filtrare le informazioni in base alle zone di produzione o a un intervallo di tempo specifico. Tutti i dati sono archiviati e possono essere scaricati in formato Xml, Csv o Rss.

In tal modo si raggiunge un duplice obiettivo: si adempie agli obblighi stabiliti dal REMIT - Regolamento sull’integrità e la trasparenza dei mercati energetici all’ingrosso - sulla pubblicazione tempestiva e ne beneficia la trasparenza, perché la piattaforma rende più agevole monitorare i fenomeni sospetti di insider trading.

A tal fine, Go Project ha sviluppato una piattaforma Web Based con architettura multi-tier, in cui si possono individuare più livelli software in comunicazione tra loro. La relativa App è stata realizzata con AngularJS e AngularUi.

Sul portale sono periodicamente inseriti anche dettagliati report grafici, sia a cadenza giornaliera che mensile, che mostrano l’andamento dei mercati e sono la rappresentazione visiva dei dati contenuti all’interno della piattaforma. Anch’essi possono essere esportati, sia in formato Xml che Rss.

Inoltre, è presente un Form d’iscrizione ed è possibile stampare il contratto per l’utilizzo della piattaforma, che può essere personalizzato in base ai dati dei singoli utenti. Le tecnologie utilizzate sono state .NET, MySql, AngularJS e MongoDB, Javascript, JQuery.

 

MPEG: un software completo per la negoziazione

La seconda piattaforma realizzata è MPEG, acronimo con cui si indica il Mercato dei Prodotti giornalieri, dove si procede alla negoziazione (in modalità continua nei giorni feriali) tra gli operatori del mercato elettrico, che presentano le proprie offerte su vari prodotti, fasce di prezzo e sessioni, rispetto ai quali GME si pone come controparte centrale.

Come funziona il software sviluppato dal Team di developer di Go Project?

L’autenticazione avviene tramite firma digitale, a cui segue la verifica delle garanzie bancarie. L’aggiornamento è effettuato attraverso API di dati su altre piattaforme, mentre i risultati sono comunicati in tempo reale all’utente. In tal caso le tecnologie utilizzate sono state .NET, WCF,SignalR, Team Foundation Server, Ms Sql Server ed AngularJS, Javascript, JQuery. Anche in questo caso vi sono diversi livelli software da cui è costituita la piattaforma, Web Based con architettura multi-tier. L’App del MPEG è stata sviluppata con AngularJS, AngularUi e Signalr. Grazie al software, è stato possibile gestire le contrattazioni continue in modo più snello ed efficiente.  

Punto di partenza di tutte le strategie di comunicazione aziendali è la scelta del nome della propria attività. Nel web marketing viene usato il termine brand naming per indicare il nome da attribuire al proprio prodotto o servizio e, in genere, al proprio marchio, così ricollegandosi al concetto di identità aziendale.

Cos’è il naming? Essendo il primo passo del processo di creazione del marchio, prima ancora del branding, esso deve trasmettere i valori, le caratteristiche e gli obiettivi aziendali.

Trattandosi del primo punto di contatto col cliente, il nome deve essere incisivo e di impatto, semplice da memorizzare e da ricordare. Si parte dalla ricerca, si procede alla scelta, a cui segue la registrazione.

Occhio ai competitor, per non scegliere nomi già utilizzati o talmente simili che potrebbero ingenerare confusione nei consumatori. Il metodo è semplice: al momento di scegliere il nome a dominio, cioè quello che apparirà nella URL del proprio sito, è possibile verificare se esso è ancora disponibile o meno. In questo caso l’originalità è un punto a favore.

Va considerato anche l’aspetto legale: la legge sul copyright impone che il nome scelto non sia un marchio registrato di altre aziende.

Al termine dell’attività di naming, il nostro business sarà associato a un determinato nome che, salvo strategie di rebranding successive, rimarrà lo stesso per tutta la durata della società.

Non esiste un manuale che suggerisce come come scegliere il nome di un brand, ma possiamo individuare delle linee-guida da seguire. Infatti, il successo di un brand dipende anche da un naming vincente.

Brand name: le regole per trovare il nome giusto

Quale sono le regole base per scegliere il nome dell’azienda? Un naming che funzioni dovrebbe puntare su:

  • Coerenza, veicolando il messaggio corretto, in linea con l’attività svolta.
  • Brevità, perchè più semplice da memorizzare;
  • Riconoscibilità;
  • Originalità, per non rischiare somiglianze con i competitor.

Inoltre, ci sono altri fattori utili da prendere in considerazione nella creazione del brand name:

  • Non essere generico, per poter individuare a colpo d’occhio non solo l’ambito, ma anche il tipo di prodotto trattato. Ma anche non essere troppo specifico, perchè potrebbe costituire un limite se, anche a distanza di anni, si decidesse di modificare il prodotto per renderlo più funzionale alle richieste del mercato o di lanciarne uno nuovo;
  • Essere orecchiabile ed evocare pensieri positivi;
  • Avere la traduzione corrispondente, se si tratta di prodotti/servizi venduti all’estero.

Un segreto per non rischiare che l’attività di naming porti a risultati che non garantiscono successo nel tempo è contestualizzare, pensare al target attuale e alle possibili evoluzioni della nostra strategia, tentando di ipotizzare le sfaccettature che la comunicazione può assumere nel corso del tempo.

 

Naming dell'azienda: le tipologie

Entrando ancor più nel dettaglio, si distinguono varie tipologie di brand name:

  • Nomi descrittivi, che evidenziano le caratteristiche del prodotto e puntano proprio su di esse per suscitare l’attenzione dei clienti;
  • Nomi evocativi, che rimandano al prodotto o servizio venduto attraverso riferimenti meno diretti ma comunque di impatto;
  • Nomi astratti, frutto della fantasia dei marketer dell’azienda, che puntano sulla creatività e su giochi di parole e di suoni (per esempio, mediante onomatopee) e vogliono stimolare l’immaginazione del consumer.
  • Acronimi, molto usati nell’ultimo decennio (si pensi a IBM o BMW), ma meno apprezzati ultimamente perchè impersonali.
  • Nomi del founder e/o dei partner, che traggono beneficio dalle connessioni interpersonali e fanno leva sui rapporti. Hanno un senso e sono efficace finché il gruppo di comando della società continua a far capo al fondatore originario, altrimenti rischiano di essere sostituiti.

Infine, in alcuni casi al brand name può seguire il pay-off. Un esempio classico è dato da Nike con “Just do it”, per la creazione del quale valgono i stessi principi illustrati per la scelta del nome, adattati ai casi concreti. Sono tutti piccoli tasselli che uniti insieme possono garantire la costruzione di un business di successo.

Cosa cambia con l’entrata in vigore del GDPR? Il General Data Protection Regulation (Regolamento UE 2016/679) riguarda la protezione dei dati personali degli utenti.

La nuova policy regola la privacy e impone a tutte le aziende che, nell’ambito della propria attività, raccolgono informazioni personali delle persone e il loro comportamento online, per poi utilizzarle a fini di marketing.

Quali sono i dati sensibili a cui si riferisce il GDPR? Le abitudini, le preferenze, le condizioni di salute e quelle economiche, i rapporti personali.

Uno dei punti cardine del Regolamento riguarda il consenso al trattamento dei dati: esso dev’essere esplicito.

Motivo per cui, tutte le aziende che in precedenza non avevano richiesto il consenso ai propri clienti, anche per essere autorizzati al semplice invio di materiale promozionale, dovranno provvedere in tal senso. Come adeguarsi al GDPR?

Sarà necessario attivare una campagna di e-mail marketing ad hoc, con la quale richiedere ai propri contatti il consenso esplicito per il trattamento delle loro informazioni, oltre ad aggiornare le proprie preferenze sulla privacy, così scegliendo nel dettaglio per quali finalità consentire l’utilizzo dei propri dati sensibili.

Nello specifico, si chiama campagna di repermissioning e rende il tuo database a norma e i relativi dati utilizzabili per finalità di marketing. Altrimenti, per non correre il rischio di andare incontro a sanzioni (20.000.000 € per i privati e le imprese non appartenenti a gruppi di società e fino al 4% del fatturato complessivo per i gruppi societari), essi dovranno essere cancellati perché acquisiti con modalità non conformi a quelle previste dalla legge.

Al contrario, se i nominativi presenti in database avevano già espresso il proprio consenso, non sarà necessario alcun adeguamento.

Un’altra questione riguarda le società che si occupano di Big Data e che utilizzano le informazioni degli utenti fornite da Facebook e Google: esse si avvalgono a tutti gli effetti di dati di terzi. Come orientarsi in questo caso? L’utente deve essere informato del fatto che, dopo aver fornito la propria autorizzazione, i suoi dati possono essere trasmessi a soggetti terzi.

Come impostare le campagne di adv?

Un discorso a parte vale per la profilazione e tutti i comportamenti che gli utenti tengono online, monitorati e utilizzati dalle aziende per effettuare ricerche di mercato e attività di marketing. Siamo nel campo dell’advertising, cioè degli annunci online. Essi violano il GDPR quando si basano su dati personali degli user che non hanno fornito il proprio consenso all’utilizzo.

I rischi di violazioni sono diversi a seconda che venga creata una campagna di Facebook o di Google Adwords. Perchè? Possiamo mettere in evidenza alcune criticità.

1. Conoscere il search intent dell’utente è semplice, poiché si basa sulle ricerche che egli effettua su Google, le cui parole chiave con un volume di ricerca più elevato suggeriscono già elementi utili per strutturare la campagna in linea con i relativi interessi.

Invece, il funzionamento di Facebook Ads richiede maggiori informazioni, alle quali si attinge attraverso una ricerca più invasiva dei dati, a partire dai post pubblicati, passando per i gruppi di cui l’utente fa parte, fino ai singoli like.

Inoltre, per quanto riguarda la creazione di pubblici personalizzati, potrebbero essere colpite dal GDPR le cosiddette “Lookalike Audience”, con cui ci si riferisce al pubblico simile. Questa categoria si basa su un assunto: questo segmento di pubblico potrebbe essere interessato ai servizi/prodotti venduti dalla tua azienda perché presenta caratteristiche simili a coloro che già rientrano tra i tuoi clienti.

In questo caso sarebbe necessario un doppio consenso. Le parti coinvolte sono sia Facebook che l’azienda stessa. Infatti, il colosso mondiale dovrebbe innanzitutto autorizzare la profilazione degli utenti sulla base di altri (ritenuti simili). A loro volta, questi ultimi devono prestare il consenso esplicito per il retargeting attraverso Facebook Ads. Infine, l’azienda deve consentire l’utilizzo del proprio CRM, dal quale vengono importati i contatti.

2. Un’altra questione rischia di porre problemi per la rete di Google e, in particolare, per le campagne di Programmatic. Le opzioni a rischio sono quelle del targeting di Adwords: “segmenti di pubblico di affinità personalizzati,” “segmenti di pubblico in-market”, “segmenti di pubblico simili”, ” targeting demografico “, “monitoraggio cross-device”.

Un cambiamento non di poco conto riguarda le informazioni su razza, etnia, orientamento politico, convinzioni religiose o filosofiche, appartenenza a sindacati, orientamento sessuale. Queste categorie non possono più essere utilizzate per targetizzare il pubblico e indirizzarvi le campagne su Facebook e Instagram.

Altra questione è quella relativa alle inserzioni su Audience Network, con cui è possibile creare campagne visualizzate fuori da Facebook, su siti web e app, ma avvalendosi sempre delle informazioni fornite dagli utenti a Facebook. Finora questa opzione sembra non essere conforme ai principi del GDPR, quindi saranno necessari una serie di adeguamenti.

 

Le altre novità introdotte dal GDPR

Ciò che conta e che è indice del fatto che la tua azienda sia in regola con la nuova normativa del GDPR è che la raccolta dei dati nel database sia avvenuta nel rispetto di tre principi: liceità, trasparenza e correttezza.

La nuova disciplina prevede anche una nuova figura, il cui compito consiste nel gestire la sicurezza dei dati. Si chiama RDP o DPO, acronimo per Data Protection Officer, col quale si intende il Responsabile della Protezione dei Dati Personali. Egli dovrà curare la redazione di un Registro - consultabile da tutti gli interessati - nel quale inserire tutte le operazioni di trattamento effettuate sui dati sensibili.

Il GDPR prevede il diritto di accesso: l’interessato può richiedere copia dei propri dati detenuti dall’azienda, nonché informazioni sul modo in cui essi sono conservati. Inoltre, è stato introdotto il diritto all’oblio, perchè in ogni momento ciascun contatto può chiedere che le proprie informazioni vengano cancellate.

Il Regolamento, che entra in vigore a partire dal 25 maggio 2018, nasce dall’esigenza di garantire maggiore trasparenza. Una volta compiuti con successo i vari adeguamenti da parte di ogni azienda, esso può tradursi in un miglioramento delle strategie di marketing.

Con la Riforma del Terzo Settore, tutti gli enti no profit adegueranno la loro disciplina al D.lgs. 117/2017. I destinatari sono gli ETS, acronimo per Enti del Terzo Settore, nel quale rientrano associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato e ONG attive nel panorama italiano.

Tra le novità, il decreto prevede una regolamentazione più puntuale a vantaggio della trasparenza: per esempio, è obbligatorio pubblicare il bilancio sociale sul sito dell’Ente no profit.

Il concetto di ONG è stato menzionato per la prima volta dalle Nazioni Unite e, a partire da quel momento, abbiamo assistito alla nascita di tantissime organizzazioni non governative, che operano sia in Italia che all’estero.

Il dato caratteristico è il loro essere indipendenti dal governo, senza fini di lucro: le ONG ricevono i mezzi necessari per portare avanti le proprie attività da parte dei privati sotto forma di donazioni.

In base alla legge 49/1987, le ONG italiane vengono considerate ONLUS ed entrano a far parte della relativa lista dopo che il Ministero degli Esteri ne dichiara l’idoneità.

La differenza più rilevante rispetto agli altri gruppi organizzati riguarda gli scopi perseguiti:

  • Difesa dei diritti umani;
  • Miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi meno sviluppati;
  • Tutela dei minori;
  • Cooperazione a livello internazionale;
  • Ricerca sanitaria e scientifica;
  • Organizzazione di missioni umanitarie;

Esse hanno giocato un ruolo fondamentale nel portare davanti alla comunità internazionale tutte le questioni che ruotano attorno al rispetto dei diritti, contro la povertà e le disuguaglianze. Allo stesso tempo le organizzazioni no profit si sono impegnate per colmare i divari esistenti nei Paesi sottosviluppati: hanno dato la possibilità ai bambini del luogo di avere una scuola da frequentare e, alle donne delle comunità, di poter apprendere l’arte di un mestiere.

 

La comunicazione digitale per le Onlus

Go Project, consapevole del valore che le Onlus rivestono per lo sviluppo e la cooperazione, ha lavorato al loro fianco. La nostra agenzia cura la comunicazione di AIL e di Osafund, esponenti di entrambi i settori, ricerca scientifica da un lato e difesa dei diritti umani dall’altro. Tra i progetti realizzati, merita di essere menzionata l’attività di comunicazione digital promossa per Unicef, di cui Roberto Mancini, nostro cliente, è Ambasciatore.

Il Registro del Volontariato italiano conta l’iscrizione di numerose ONLUS il cui lavoro si è distinto nel campo della ricerca scientifica. Tra le prime AIL che, dal 1969 ad oggi, ha creato un network di strutture per prendersi cura dei malati di leucemia, affetti da linfoma e mieloma, e delle relative famiglie. Allo stesso tempo, l’Associazione finanzia la ricerca attraverso la Fondazione Gimema - Gruppo Italiano Malattie Ematologiche nell’Adulto. Dobbiamo ai medici che operano intorno ad AIL alcuni dei progressi compiuti nel campo della medicina ematologica.

Sia AIL che Osafund si rivolgono alle persone, con le quali vogliono condividere i lavori compiuti e la mission alla base. Per raggiungere questo scopo, Go Project ha elaborato una strategia di digital marketing ad hoc, modellata sul settore della raccolta fondi e del 5 per mille, una delle principali forme di finanziamento per i volontari.

Per quanto riguarda AIL, il piano di comunicazione prevede una valorizzazione dei contenuti presenti sul sito e un’ottimizzazione secondo i principi SEO, un’attività di paid advertising con campagne specifiche, una promozione online dei singoli eventi organizzati dall’Associazione. Lo scopo è generare engagement il che, tradotto in termini offline, corrisponde a una maggiore sensibilizzazione degli utenti sui temi trattati.

La strategia di comunicazione sviluppata per Osafund, nata nel 2014, ha preso il via da una fase iniziale. Motivo per cui la relativa programmazione è stata strutturata a partire dalla creazione di un’identità digital più definita, alla quale è stata affiancata da un’attività di content marketing sul sito della Fondazione e sui relativi social. Lo scopo è intercettare e attrarre un nuovo target potenzialmente interessato alle iniziative promosse dai missionari agostiniani nei 54 Paesi del mondo. Condividere i successi raggiunti da chi si impegna ogni giorno è importante e, nel XXI secolo, una condivisione efficace passa dal digital.

Tutte le compagini devono avere l’opportunità di costruire un’identità online, così da migliorare anche la propria reputation offline. Nel decennio della digital transformation, quando ogni struttura associativa dovrebbe essere presente sul web, è ancora più importante garantire una maggiore visibilità a quelle che hanno a cuore le persone, i loro diritti e il miglioramento della qualità della vita. Sulla base di questa consapevolezza, Go Project è sempre aperta ad aggiungere nuove case history tra i progetti di comunicazione gestiti a favore delle Onlus e dei futuri ETS.