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Ogni prodotto fa capo a un brand, che nel suo significato letterale è sia la denominazione commerciale che il simbolo dell’azienda, il logo che ne trasmette i valori. Il concetto può essere approfondito da vari punti di vista, più o meno tecnici.

Spaziando nel campo del Digital Marketing, si parla di Brand ogni qual volta si vuole fare riferimento all’ideologia su cui si basa l’azienda, tramite la quale essa si distingue dalle altre. Esso è il marchio che veicola il messaggio aziendale. Il brand e la sua notorietà è il punto a partire dal quale far leva per generare quel legame che porta alla fidelizzazione del cliente.

La lista sui significati - materiali o meno - del brand potrebbe continuare, ma non dimentichiamo anche l’importanza che riveste in una strategia di comunicazione aziendale.

Il suo ruolo di spessore è confermato dal fatto che in genere tutte le realtà costruiscono (o dovrebbero costruire) una propria Brand Identity, che talvolta le stesse grandi aziende procedono a strategie di Rebranding oppure che personalità che già godono di notorietà curano l’aspetto del Personal Branding.

Se si pensa a marche come Nike o Mac, il semplice nome (il cosiddetto naming) evoca l’immagine a esso collegato (la brand image) e comporta una reazione immediata, che ben può essere vista come una “risposta emozionale” del cliente.

Quando alla vista di un determinato brand scatta l’emozione, la deduzione è una: l’azienda ha una solida Brand Identity. Ciò vuol dire che la strategia di marketing adottata ha portato i suoi frutti, perché ha instaurato una relazione col consumatore.

Una volta chiari questi concetti del marketing, passiamo all’aspetto più operativo e vediamo come fare attività di branding, cioè come elaborare una valida strategia di marca e di posizionamento del brand.

Primo step è fissare l’obiettivo, cioè capire qual è la vision che vogliamo comunicare al nostro pubblico, dal quale poi estrapolare - in un secondo momento - le buyer personas che vogliamo intercettare.

Tutto ciò è sicuramente frutto di un brainstorming, durante il quale è importante tenere bene a mente che l’attività di Brand Marketing deve (e non può):

  • Distinguerti dai competitor. Quali sono le differenze e i valori aggiunti del tuo brand?
  • Essere incisiva, perché il concetto va comunicato in modo diretto, facile da comprendere e altrettanto facile da ricordare.
  • Mostrare coerenza, poichè l’insieme delle caratteristiche che riconducono al brand devono far parte di una visione d’insieme, in cui ogni elemento (logo, pay-off, colori, ecc..) è allineato all’altro.
  • Evocare fiducia e sicurezza, fondamentali per la fidelizzazione successiva.
  • Soddisfare le esigenze della tua audience, dal momento che quello che la tua azienda vende costituisce la risposta a un loro bisogno.
  • Scegliere i canali migliori. In questo caso le piattaforme più adatte e i contenuti più interessati dipendono sia dal prodotto oggetto della strategia di branding, sia dal target da intercettare.

Viviamo in un’epoca in cui la condivisione dei dati personali è all’ordine del giorno. Social network, App, piattaforme online, tutto quello che facciamo è registrato e immagazzinato. Immaginiamo un’enorme Cloud che permette l'archiviazione, l'elaborazione e la trasmissione di dati.

Il rispetto della privacy è un tema delicato, che ha suscitato e tutt’ora suscita non pochi dibattiti, tra coloro che vantano i lati positivi di un sistema in cui tutto e tutti sono collegati e coloro che, invece, lamentano una violazione della propria sfera personale e un’ingerenza di imprese, P.A., enti e soggetti pubblici in genere. Due facce di una stessa medaglia.

 

Il GDPR tutela la privacy degli utenti

È stata avvertita in modo stringente l’esigenza di aumentare il livello di protezione dei dati personali. Questo clima, reso ancor più teso dallo scandalo Cambridge Analytica, ha condotto all’emanazione del GDPR, che verrà applicato in tutti gli Stati dell'Unione Europea dal 25 maggio 2018.

Cos’è il GDPR? L’acronimo sta per General Data Protection Regulation, il nuovo Regolamento dell’Unione Europea (n. 679/2016) sulla protezione dei dati personali e sulla loro libera circolazione. La normativa sarà applicata sia alle persone fisiche che giuridiche, nonché alle imprese che non fanno parte dell’Ue ma che vendono prodotti e/o servizi negli Stati membri.  

All’insegna di una maggiore trasparenza, con il Regolamento UE 679 del 2016 cambia la regolamentazione dei rapporti tra cittadino e P.A., che dovrà adeguarsi - insieme a tutti gli altri soggetti a cui la normativa si rivolge. In caso contrario sono previste sanzioni più o meno elevate in base al fatturato della società.

Al tempo stesso, vengono riconosciuti una serie di diritti in capo al cittadino:

  • Il diritto alla portabilità dei dati, cioè di riceverli e trasmetterli ad altri;
  • il diritto all’oblio, cioè che i propri dati vengano cancellati;
  • il diritto di essere informato in modo trasparente e dinamico sul trattamento dei propri dati;
  • Il diritto di accesso, cioè di controllarne l’utilizzo;
  • Il diritto di essere informato (mediante notificazione) del data breach, cioè di eventuali violazioni.

 

Come si adegua Facebook al GDPR

Il GDPR ha delle conseguenze anche nell’universo social. Cosa cambia nel modo di utilizzare Facebook e gli altri social network?

A tutti gli utenti iscritti a Facebook è apparso l’avviso “Controlla le tue impostazioni ed effettua delle scelte entro il 25 maggio per poter continuare a usare il tuo account”.  Così il famoso social network, per adeguarsi al GDPR, ha invitato gli utenti a rivedere le regole sulla privacy del proprio account.

Le prossime modifiche sulla piattaforma di Zuckerberg - e non solo - riguardano:

  • Il consenso. Per esempio, per continuare a utilizzare determinate feature, come il riconoscimento facciale nel tagging delle foto, è necessario scegliere l’apposita opzione oppure cliccare sulla relativa spunta per disabilitarla. Niente è più automatico e scontato, ma richiede un’autorizzazione dell’utente.
  • L’advertising. Cambia la visualizzazione degli annunci pubblicitari, che possono essere parametrati in base agli interessi dell’utente o meno, a seconda dell’autorizzazione che egli fornisce. Inoltre, il singolo annuncio non può più essere targettizzato in base a orientamento sessuale, religioso o politico degli user.
  • La tutela dei minorenni. È necessario il consenso del genitore per i ragazzi minori di 16 anni che vogliono iscriversi a Facebook o Whatsapp. In mancanza, il minore che effettua la registrazione sul portale di Facebook avrà comunque accesso al sistema, ma con funzionalità limitate.
  • Il diritto alla portabilità. È possibile selezionare l’opzione “Scarica i tuoi dati” su Facebook e su Instagram per avviare il download sul proprio dispositivo e così recuperare facilmente i propri dati personali, per poi reinserire foto e informazioni su un altro apparecchio e su un altro social network a propria scelta. In tal modo viene favorita anche la libera concorrenza.
  • Il principio di accountability. Esso attribuisce al gestore dei propri dati la responsabilità non solo del modo in cui essi sono gestiti, ma anche nell’ipotesi in cui essi vengano sottratti da terzi. Imprese ed enti pubblici devono comportarsi in modo tale da garantire la massima protezione e salvaguardia dei dati personali di cui sono in possesso.

Maggiori doveri e maggiori responsabilità, che vengono delineate in modo più preciso e puntuale. Lo scopo è tutelare l’utente che immette in rete informazioni personali, talvolta anche in modo poco consapevole. Esse, in mancanza degli opportuni accorgimenti, rischiano di divenire di dominio pubblico, alla mercè di aziende e organizzazioni a scopo di lucro.

Un network dove l’informazione circola liberamente è possibile, basta maggiore precisione e rispetto per tutelare la privacy, rimanendo sempre al passo con l’evoluzione tecnologica che, con le dovute cautele, semplifica e migliora la vita di tutti.

Si sente tanto parlare di storytelling e tecniche della narrazione. Entriamo nel vivo e capiamo di cosa si tratta e perché è considerato un ottimo metodo per “fare comunicazione”, dopo aver raggiunto buoni livelli nella Brand Awareness. La fatidica domanda di partenza è cos’è lo storytelling?

Il termine rimanda al mondo della narrativa e all’arte del narrare. Esso ha subito un’evoluzione che ne ha reso pertinente l’utilizzo anche nel mondo del marketing. Facciamo un passo indietro.

Quando l’azienda lancia sul mercato un nuovo prodotto, per raggiungere gli acquirenti esso verrà presentato e ne saranno posti in evidenza i punti di forza. Questa è la strada universalmente seguita da chi si occupa di Digital Marketing e Advertising. In questa fase della strategia di comunicazione si inserisce lo storytelling, che costituisce una tecnica di presentazione alternativa (i più parlano di unconventional marketing) che fa leva anche sull’aspetto emotivo. Come funziona il meccanismo?

Ancora una volta è il target a orientarci. Ciò vuol dire che il modo di comunicare e le emozioni da suscitare dipendono sempre dal tipo di audience verso cui ci indirizziamo.

In secondo luogo, vale la tecnica - propria del giornalismo - delle 5 W. What, who, why, when e where sono i quesiti che devono fare da filo conduttore al nostro racconto e che vanno sviluppati in una prospettiva SEO-oriented.

È la storia, infatti, l’arma aziendale per suscitare l’interesse, condividerne i valori, coinvolgere e convertire. È attraverso la storia che è possibile trasmettere una percezione positiva del prodotto/servizio. Per questo motivo va riconosciuto il potere dello storytelling, come ottimo alleato in una strategia di comunicazione aziendale vincente.

A livello pratico, tradizionalmente lo schema narrativo si compone di 5 fasi:

  • L’inizio;
  • Il contesto;
  • L’apparizione del protagonista;
  • Il finale;
  • La morale.

Per quanto riguarda quest’ultima, nel Digital Marketing a volte si preferisce lasciare la morale non perfettamente delineata, in modo tale da permettere al consumatore, una volta immedesimatosi nella storia e nel personaggio, di interpretare il messaggio finale in base alla sua prospettiva personale.

La storia deve mettere in risalto due aspetti:

  • Lato razionale;
  • Lato emotivo.

Come rendere la lo schema narrativo interessante e lo storytelling efficace? Tutto risiede nei dettagli. Che si voglia parlare di un prodotto specifico, del brand in generale, di un’azienda o di un soggetto, il segreto è strutturare la trama in modo tale che, all’interno delle 5 W, vengano posti in risalto degli elementi che facciano da collante e suscitino l’interesse del consumatore finale.

Ogni azienda ha degli obiettivi strategici, ma ciò che fa la differenza è sempre il modo con cui essi sono perseguiti. Quanto più autentico risulterà il contenuto, tanto più coinvolgente sarà il messaggio. Infatti, credibilità, veridicità e trasparenza sono le linee-guida del racconto; tant’è che gli esperti del settore parlano di verosimiglianza della narrazione; mentre informare, emozionare e creare engagement sono gli scopi finali.

Allora, guardando allo storytelling come approccio strategico, la “storia” del marchio delinea l’identità dell’azienda e può diventare la storia dell’audience. Così viene instaurato un legame, che renderà più semplice - in un secondo momento - creare un coinvolgimento emotivo.

Una volta strutturata la narrazione, l’utente che ne segue lo sviluppo dovrebbe percepire familiarità e un senso di relatability che lo spingono a identificarsi col protagonista e, implicitamente, condividere i valori e la vision dell’azienda.

Qual è uno dei punti di forza dello storytelling? Vanno considerati i risultati a lungo termine, perché il rapporto di fiducia tra brand e consumatore si basa sul concetto di riconoscibilità ed è duraturo nel tempo.

L’Influencer Marketing, strumento pubblicitario conosciuto in passato sotto altre forme, è divenuto oggi una delle principali strategie di marketing adottate dalle aziende. Potremmo paragonarlo al concetto di testimonial, già esistente dagli anni ‘90, oppure agli sconti riservati ai taxisti per l’acquisto di auto negli anni ‘70.

Nelle strategie di marketing uno degli obiettivi è aumentare l’engagement rate, cioè il tasso di coinvolgimento degli utenti, che si mostrano più o meno interessati a ciò che gli viene offerto. È lo step che precede l’interazione sui social network, a cui punta ogni azienda perché è sinonimo di autorevolezza in rete (detta Online Reputation).

L’Influencer Marketing si basa proprio sul grado di affidabilità che un individuo possiede e ne fa uno strumento per influenzare le decisioni d’acquisto. Esso si fonda sul potere delle opinioni, più autentiche e trasparenti possibili. È la conferma del fatto che l’utente, inteso come consumatore, riveste un ruolo centrale e, attorno a esso, ogni dettaglio viene modellato.

 

I soggetti

Chi sono gli influencer? Lontano dagli stereotipi, le campagne di influencer marketing non sono soltanto quelle promosse da personaggi famosi. Ottimi candidati e volti adatti sono anche opinion leader di settore, blogger, youtubers o clienti fedeli che acquistano il prodotto e possono recensirlo online, condividendo il proprio parere sui social.

A seconda del settore e del mercato dove vogliamo inserirci, cambia la tipologia di influencer idoneo. Se l’azienda abbraccia i temi dell’ecosostenibilità e vuole pubblicizzare un evento, potrebbe scegliere un attivista/ambientalista. Se lo scopo è aumentare le vendite di un determinato prodotto di nicchia, allora sarà meglio optare per un esperto del settore.

In termini tecnici, si parla di profilazione, cioè quell’attività che sulla base dei dati personali degli utenti (età, località geografica, interessi, ecc..) aiuta a individuare il pubblico a cui ci rivolgiamo e, di conseguenza, l’ambassador migliore.

 

I mezzi 

Posto che l’influencer marketing si sviluppa nel tentativo di intercettare l’audience, i metodi per raggiungerlo possono essere diversi, in base a soggetti e oggetto del mercato in questione.

Uno degli strumenti che ha sempre mostrato di essere efficace è la tecnica dello storytelling, cioè del racconto di sé stessi e delle proprie esperienze (culinarie, di viaggio, di acquisto, ecc..). In questo modo si accorciano le distanze tra influencer e follower, che partecipa attivamente.

Come funziona? Condividere la propria quotidianità dona autenticità alle storie, sviluppa una certa reputation e, alla fine, crea un rapporto di fiducia col potenziale acquirente. Sulla base di questo senso affidamento, l’influencer diventa fonte di ispirazione.

Viene di nuovo in considerazione l’engagement, perché l’utente individua nelle abitudini di vita e nelle preferenze dell’influencer una serie punti di contatto che lo spingono a seguirne i consigli e a dare credito ai pareri.

Il potere dell’Influencer Marketing funziona anche dopo, quando l’effetto virale del contenuto è diminuito, perché sfrutta il cosiddetto WOM (Word of Mouth), cioè il Passaparola tra utenti e consumatori.

 

Gli scopi

Cosa garantisce una campagna ben strutturata di Influencer Marketing?

  • Visibilità online e popolarità offline;
  • Brand Awareness e Brand Reputation;
  • Aumento del traffico nel sito;
  • Possibilità di fare Lead Generation;
  • Aumento delle conversioni;
  • Incremento delle vendite;
  • Creazione di una vera e propria community fedele al brand.

Il calcio è lo sport più popolare del mondo, con 3 miliardi e mezzo di seguaci, tifosi e appassionati. In Italia si riconferma come lo sport più seguito. 

Con l’evoluzione del mondo digitale e la diffusione dei social media, sia squadre che calciatori hanno una pagina e un profilo sui vari canali (Facebook, Instagram, Twitter e Youtube). Partendo dal presupposto che i vari account calcistici hanno un valore economico, è sorta l’esigenza di analizzarli più nel dettaglio. Questo è stato l’input che ha portato alla nascita di Social Media Soccer, startup innovativa e tecnologica e testata giornalistica, fatta di rubriche, news, interviste.

Si tratta di un progetto sviluppato da Go Project per il monitoraggio dei profili social dei protagonisti del mondo del calcio. Il risultato dato dal numero di fan, post e interazioni in generale permette di individuare il grado di autorevolezza del profilo social (chiamato Social Media Value).

Ma non è finita qui. Perché sulla base della fan base e di altre variabili è possibile:

  • misurare la visibilità della squadra e del calciatore sui social;
  • valutare quale squadra o calciatore è più adatto per veicolare determinati messaggi e promuovere alcuni prodotti/servizi.

Il personaggio calcistico diventa influencer.

Qual è il metodo di analisi seguito? 

La piattaforma acquisisce i dati dei social network, li aggrega e li analizza nel tempo.  Il valore aggiunto è dato dal fatto che Social Media Soccer è in possesso di uno storico di ben 2 anni, a partire dal 2016.

Ad oggi si contano 2.416.859.132 interazioni e il dato - fornito in tempo reale sul sito - è in continuo aggiornamento. Inoltre, è stata creata una dashboard che distingue per squadra, giocatore e social media di riferimento.

 

Gli indicatori che monitoriamo: il Social Media Value

Cos’è il Social Media Value? È un algoritmo sviluppato da ICTinnova Srl, spin off dell’Università La Sapienza di Roma, che analizza ben 230 metriche: dati quantitativi, come la fan base, e qualitativi, cioè riferibili al singolo giocatore.

Il risultato finale sarà un valore compreso tra 0 e 100, che farà da indice per capire l’esposizione mediatica di ciascun soggetto e il valore economico dell’account.

 

Social Media Soccer: quando i numeri contano 

A chi si rivolge? Social Media Soccer nasce per accompagnare tutti i protagonisti del settore calcistico nell’arco della loro carriera. Le sue metriche e i suoi target rispondono alle esigenze di squadre, allenatori, giocatori, sponsor tecnici, procuratori e agenzie.

A tal proposito, si assiste alla tendenza ad affidare la procura sportiva a vere e proprie agenzie, che si occupano anche della gestione del profilo personale o di squadra. In questo processo, i dati forniti da Social Media Soccer possono essere un ulteriore supporto durante le attività di gestione professionale degli account sui social network.

Dall’altro fronte, un tool di analisi come Social Media Soccer si allinea al lavoro di sponsor e aziende.

Infatti, un ruolo fondamentale è svolto dalla figura dello sponsor, a cui la piattaforma di Social Media Soccer può essere utile per scegliere quale squadra o calciatore promuovere.

Infine, chi più delle aziende può sfruttare il valore economico dei profili dei calciatori per individuare l’influencer migliore su cui investire per aumentare vendite e fatturato? Social Media Soccer funge da interlocutore, suggerendo quale personaggio del mondo del calcio è più adatto al target e al tipo di business verso cui l’azienda vuole puntare.

Infine, può rivelarsi un alleato per i giornalisti del settore. Con i dati forniti da Social Media Soccer possono approfondire le tematiche legate al rapporto tra il mondo del calcio e i social.

Prima davanti alla Commissione per l’Energia e il Commercio del Senato, poi innanzi a quella della Camera dei Rappresentanti, Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, si è presentato il 10 e l’11 aprile per le audizioni - durate 5 ore ciascuna - sul caso Cambridge Analytica, scoppiato nel marzo del 2018 dopo le inchieste e gli articoli del The Guardian e del New York Times.

Lo scandalo e il clamore mediatico ruotano intorno a due questioni:

  • Il rispetto della privacy degli utenti;
  • Le interferenze della Russia nella campagna elettorale per le elezioni del presidente americano.

Per quanto riguarda la prima, si è fatto riferimento anche al GDPR, il Regolamento sulla protezione dei dati per gli Stati membri dell’Unione Europea in vigore dal prossimo 22 maggio 2018, che Facebook è tenuto a rispettare. Zuckerberg ha chiarito che esso non verrà applicato solo in Europa: tutte le regole di Facebook verranno modificate in base alle linee-guida del GDPR, per tutelare la privacy di tutti gli utenti.

Cambridge Analytica e i soggetti coinvolti: la vicenda

Le indagini, tutt’ora in corso, si concentrano su Cambridge Analytica, società di consulenza che, mediante la raccolta e l’analisi dei dati, crea profili dettagliati per ogni utente, con un metodo simile a quello adottato dalla psicometria. Sulla base dei profili, vengono poi elaborate strategie di comunicazione e di marketing, applicabili anche alle campagne elettorali.

Sarebbero circa 87 milioni i soggetti coinvolti, tutti utenti iscritti a Facebook, i cui dati personali sono stati diffusi in seguito all’utilizzo dell’App “Thisisyourdigitallife”, che li ha poi trasmessi alla società, legata alla destra politica, considerata coinvolta nelle elezioni del Presidente degli Stati Uniti e nel referendum per Brexit nel Regno Unito.

Il campanello d’allarme scatta non per il fatto che l’App sia entrata in possesso di queste informazioni, poiché fino al 2014 le regole di Facebook ne consentivano l’acquisizione, ma nel momento in cui sono state condivise con Cambridge Analytica.

Questo passaggio ha segnato la violazione dei termini d’uso di Facebook, perché le norme sulla tutela della privacy vietano ai proprietari di App di condividere con terzi i dati raccolti sugli utenti. La conseguenza è stata la sospensione degli account di Cambridge Analytica.

 

Le risposte e i provvedimenti adottati dal founder di Facebook

Zuckerberg si è preso le responsabilità e, scusandosi davanti al Congresso, ha ammesso gli errori compiuti da Facebook negli anni, perché non sono stati presi in considerazione tutti i risvolti possibili, violazioni comprese.

Inoltre, il CEO di Facebook ha affermato che un team di 15.000 dipendenti è all’opera per andare in fondo alla questione e verificare tutte le violazioni. In particolare, gli studi e le attività disposte dal founder riguardano:

  • Quanto e come il social network è soggetto a infiltrazioni e oggetto di manipolazioni per fini politici;
  • L’analisi dei profili e della protezione della privacy;
  • La trasparenza da parte degli inserzionisti.

Lo scandalo è stato terreno fertile per evidenziare tutti i rischi - in termini di privacy - che l’utilizzo di Facebook comporta. Infatti è questo il tema su cui hanno incalzato deputati e senatori della Commissione con le loro domande. È evidente che le lacune a livello legislativo non aiutano, perché sarebbero necessarie nuove leggi (soprattutto in America).

Al tempo stesso, però, i quesiti posti dai membri del Congresso hanno mostrato la loro scarsa conoscenza del social network e di Internet.

Le funzionalità di Facebook permettono a ogni utente di impostare il livello di privacy del proprio account, ma ciò che spesso si riscontra è una generale disattenzione da parte dell’user, che utilizza poco il controllo a sua disposizione.

Zuckerberg si è mostrato assolutamente a favore di una regolamentazione chiara e con quanto prevede il GDPR, che da la possibilità agli utenti di controllare quali dati condividono, di gestirne l’utilizzo e di cancellarli.

Inoltre, è stato messo in evidenza l’impegno mostrato dalla piattaforma nel combattere le fake news, la manipolazione di informazioni per fini politici (come le elezioni) e la proliferazione di contenuti che inneggiano all’odio. Man mano che le esigenze si fanno avanti, Facebook lavorerà per aggiornare le condizioni d’uso e prevedere sistemi in grado di supervisionare e controllarne in modo rigoroso il rispetto (per esempio, gli strumenti di intelligenza artificiale). In sintesi è stato questo il leitmotiv delle audizioni.

Chi non ha mai sentito parlare di User Experience? Il primo a discuterne fu l’americano Donald Norman, ingegnere e psicologo, che coniò il termine negli anni ‘90. 

La User Experience, comunemente chiamata UX, nel suo significato letterale rimanda al concetto di esperienza dell’utente quando naviga sul sito web. Se vogliamo dare un’interpretazione più completa, parleremo di UX ogni qual volta faremo riferimento al livello di qualità che l'utente sperimenta online, cliccando sul menù a tendina, individuando più o meno facilmente l’argomento di suo interesse, apprezzando l’aspetto grafico del sito.

Migliore sarà la sua esperienza sul portale, maggiori saranno le possibilità che egli prosegua la navigazione per un tempo relativamente lungo e/o che vi ritorni con piacere. In termini tecnici, ciò che diminuisce è la cosiddetta "Frequenza di rimbalzo".

L’esperienza di navigazione deriva, a sua volta, dall’interazione dell’utente sul sito, che rappresenta l’azienda in prima persona. Il momento in cui l’user atterra e naviga sul web site rappresenta il primo punto di contatto con l’azienda e i servizi/prodotti da essa forniti. È semplice dedurne l’importanza perché, soprattutto online, la prima impressione è quella che conta.

Una volta compreso cosa si intende per User Experience, vediamo quali sono i fattori che influenzano la User Journey, cioè il percorso tra le varie pagine del sito, della sezione blog, dell’e-commerce.

È opportuna una precisazione che riguarda l’utente. Tutto il web marketing ruota intorno alla ricerca dei suoi bisogni, che anche in tal caso sono i protagonisti assoluti. Perché? Una volta individuate le esigenze dei vostri destinatari, risulterà più facile capire qual è la modalità migliore per presentargli il vostro prodotto, mostrarne l’utilità - se non addirittura la necessità - e far sì che si sentano soddisfatti.

A livello di UX, tale presentazione va condotta attraverso le pagine web del sito, che fanno da “vetrina” e che, di conseguenza, devono rispondere nel modo più efficiente possibile ai bisogni dell’utente. Tenendo sempre come punto di riferimento il contesto, che aiuta a soddisfare le aspettative delle buyer personas.

A questo punto, possiamo individuare alcuni fattori responsabili di una buona esperienza di navigazione, alla quale pervenire curando sia aspetti tecnici che aspetti relativi al lato emozionale:

  • L’Utility, cioè l’insieme di dati, informazioni e contenuti ritenuti utili per chi naviga. Lo scopo è che si trovi esattamente ciò che si sta cercando. Più alta sarà la corrispondenza tra la ricerca effettuata e il risultato, più elevato sarà il grado di utility percepito.
  • L’Accessibility, data dal corretto funzionamento del portale e delle relative pagine, che devono essere fruibili per ogni tipo di utente. Contenuti interessanti e una grafica piacevole all’occhio potrebbero essere penalizzati da tempi di risposta eccessivamente lunghi del server.

Il grado di accessibilità è collegato a quello di responsività, cioè l’attitudine tecnica del portale sviluppato di essere in grado di adattarsi a qualsiasi dispositivo (computer, tablet, cellulari, ecc..).

  • Il Design, dal momento che un sito ben strutturato a livello grafico, con un’interfaccia accattivante e pulsanti facili da individuare, costituisce uno dei motivi principali che inducono l’utente a reputare facile e intuitiva l’esperienza d’uso online. A riprova del fatto che l’occhio vuole la sua parte e che gli elementi visuali hanno un ruolo importante.

Va da sé che lo UX Design (o UXD) incide anche sulla Brand Awareness.

Per concludere, se l’interazione tra utente e sito filerà liscia come dovrebbe, a beneficiarne sarà la cosiddetta Usability, cioè l’efficienza della piattaforma, la facilità di utilizzo e, infine, il grado di soddisfazione.

In tal caso, raddoppiano le possibilità che l’utente, potenzialmente interessato ai prodotti/servizi, salvi il vostro sito nella lista dei preferiti da consultare periodicamente. Ancora una volta, tutto ciò si traduce in un aumento di traffico organico qualificato e di conversioni.

L’ultimo decennio ha visto l’Italia sempre più interessata e talvolta anche protagonista di eventi dedicati alla comunicazione e a tutti i temi correlati. Alcune città italiane sono state palcoscenico di convegni, seminari e workshop con speaker internazionali dove protagonista indiscusso è il marketing.

Se vi siete persi qualche appuntamento, di seguito potete trovare i prossimi da aggiungere al calendario.

Proprio in questi giorni, da oggi fino al 13 aprile, si svolge a Jesi il Brand Festival. Sette giorni di confronto sulle strategie di Branding: si va dal Personal Branding al Brand Territoriale, passando per l’Identità di Marca. Il concept dell’evento è completato da tre attività:

  • Un contest tra i progetti di brand delle aziende marchigiane, chiamato Glocal Brand Awards.
  • Agenzie Aperte (dal 16 al 21 aprile), per favorire momenti di networking e mostrare come lavorano le realtà professionali della zona.
  • Aperitivi con i guru, per conoscere in prima persona chi del marketing ne ha fatto prima oggetto di studio e poi un’occupazione a tempo pieno. Chi meglio di loro può darti consigli preziosi per il tuo business?

Si parla sempre più spesso di Neuromarketing, per sottolineare il legame tra il marketing e le discipline neuro-scientifiche e i riflessi positivi sul business. Milano per la terza volta gli dedica un evento: Certamente 2018 è previsto per il 10-11 maggio. Nell’arco dei due giorni si susseguiranno 11 speaker e 2 tavole rotonde con ricercatori ed esperti di marketing, psicologi e agenzie che condivideranno la loro esperienza e spiegheranno come potenziare il proprio business.

A giugno a Rimini si terrà il Web Marketing Festival, per il sesto anno consecutivo. Le date sono 21, 22 e 23 giugno 2018. Si tratta di 50 eventi in uno, perché nei 3 giorni saliranno sul palco del Palacongressi più di 400 speaker e ospiti. Tra i macro-temi di indubbia attualità che saranno trattati: Blockchain, Big Data, Social Advertising, Professioni Digitali, Coding e molti altri.  

Dopo il successo dell’anno precedente, che ha registrato più di 1.170 partecipanti, Eleonora Rocca è già al lavoro per organizzare la quinta edizione del Mashable Social Media Day, in programma il 18, 19 e 20 ottobre 2018 a Milano, presso IULM Open Space. Un’occasione di networking, un approfondimento su case study, una possibilità di aggiornamento sui trend del settore, un momento di formazione. Questo e molto altro è quello che ti garantisce la partecipazione al Mashable e ai Digital Innovation Days, come ambassador, presentatore, relatore o tra il pubblico.

Si chiama Web Marketing Business Summit, è giunto alla sua terza edizione ed è prevista per il 29 e 30 novembre a Milano. Due giornate piene, dove teoria e pratica si fondono, perché si passa dalle strategie agli esempi concreti. I temi - trattati anche da relatori internazionali - saranno SEO e Social Media Marketing, Coaching, Diritto della Rete, Growth Hacking, Content Marketing, E-commerce e ADV. Sono 600 i biglietti per i fortunati che vorranno approfittare della full immersion per aumentare le proprie competenze, conoscere nel dettaglio le strategie di marketing e mettersi in contatto con aziende e startup.

Correva l’anno 2010 quando fu rilasciata la prima versione di Instagram, il social network acquisito da Facebook per 1 miliardo di dollari due anni dopo, nel 2012, momento che ne ha segnato l’ascesa. Infatti, nel giro di pochi anni, il colosso del valore attuale di 35 miliardi di dollari ha toccato quota 500 milioni di utenti registrati.

L’applicazione di fotografia è stata sviluppata da Kevin Systrom e Mike Krieger e da quel fatidico 6 ottobre 2010 ne è stata fatta di strada. In termini di “user-base”, si è assistito a una crescita esponenziale: l’anno dopo il rilascio gli utenti attivi mensilmente erano 5 milioni, per poi divenire 400 milioni dopo 5 anni; oggi il famoso social ne conta 700 milioni in tutto il mondo e circa 14 milioni in Italia.

Un’ulteriore impennata è stata registrata con l’introduzione delle “Stories” nell’agosto del 2016, che ad oggi superano i 250 milioni di utenti giornalieri nel mondo. Non manca chi ha sollevato il dubbio che esse fossero state copiate da Snapchat, che ha gradualmente perso parte dei suoi utenti attivi.

Uno dei sintomi dell’elevato grado di apprezzamento di Instagram tra gli utenti è la sua frequenza di utilizzo, che lo pone soltanto secondo rispetto a Facebook. Infatti, il 49% degli utenti naviga e pubblica su Ig quotidianamente, mentre il 24% lo utilizza comunque ogni settimana. Per avere un’idea più precisa della differenza rispetto a Facebook, le percentuali sono pari al 71% per l’uso quotidiano e del 17% per quello settimanale.

Gli esperti del settore che hanno indagato sulle cause di questa ascesa, tanto rapida quanto costante negli anni, sottolineano l’importanza del suscitare sentiment. Questa capacità di stimolare l’emotività dell’utente, di emozionarlo, è uno dei motivi per cui Ig ha raggiunto il livello attuale di interazioneDi conseguenza, l’App di foto-ritocco è anche considerata un ottimo canale per la promozione del brand e, non a caso, risulta essere oggi il canale di comunicazione migliore per l’influencer marketing.

Sono evidenti i risvolti positivi se se ne ipotizza un uso legato anche al business. Infatti, Instagram garantisce un tasso di engagement molto elevato, cioè mostra ottimi risultati quando si tratta di coinvolgere l’utente, di instaurare un legame quanto più stabile e duraturo possibile.

Infine, visto e considerato che, statistiche alla mano, chi naviga sul web tende a prediligere contenuti visuali e non solo testuali, Instagram risponde perfettamente a questa esigenza, dal momento che pone in primo piano le immagini e i video e, a partire da esse, genera interazioni. Come conferma dell’importanza di tenere come punto di riferimento il target a cui indirizzare il proprio messaggio.

Il web è un enorme contenitore dove puoi trovare ogni informazione. Al tempo stesso funge da vetrina: ciò che va online è soggetto al giudizio del pubblico. Questa è la sorte delle varie campagne pubblicitarie che si susseguono mese dopo mese nei media, dalla tv allo sconfinato mondo di Internet.

A volte si vince, altre si perde. Vediamo di seguito quali sono stati l'Epic Win e l'Epic Fail più visti, rivisti, apprezzati e criticati degli ultimi mesi, e scopriamone insieme il perchè.

La polemica dietro la campagna pubblicitaria di Pandora

Partiamo dalla pubblicità di Pandora apparsa durante il periodo natalizio, che ha sollevato una valanga di critiche e attirato l’attenzione di migliaia di utenti, diventando virale. La frase incriminata era Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora. Secondo te cosa la farebbe felice?

Migliaia i post sul web che, con l’immancabile hashtag #EpicFail, parlavano di misoginia e criticavano tutti gli stereotipi che la pubblicità esprimeva.

La situazione non migliorò quando Pandora rispose alla polemica che impazzava sul web e non, nel tentativo di sedarla. L'azienda danese ha parlato di “fraintendimento” e ha precisato che lo scopo della campagna era piuttosto evitare che le donne ricevessero il regalo sbagliato (come, appunto, un ferro da stiro o un grembiule).

Eppure non è mancato chi, tra gli utenti comuni e tra gli esperti di marketing, ha “difeso” la campagna pubblicitaria. Ad esempio, tra le fila dei sostenitori, veniva sottolineato che bisognava intendere il concetto all’interno del contesto di riferimento. 

Arriva puntuale il competitor Cartier che, approfittandone, ha replicato “E poi ragazze diciamocelo: se vi ama davvero vi regala un Cartier, non un Pandora”.

Spot Buondì Motta: originale o esagerato?

Nel tentativo di essere originali, talvolta si tende ad esagerare - hanno commentato alcuni. Una pubblicità innovativa e geniale - hanno ribattuto altri. Alla fine la maggioranza degli utenti ha comunque apprezzato l’idea promossa da casa Motta, che con il suo spot pubblicitario sul Buondì ha catturato l’attenzione di tutta l’Italia, sia di coloro che la criticavano perché la riteneva lesiva dell’idea di famiglia, sia di coloro che l’hanno apprezzata. Il motivo?

Il mondo del marketing va spesso a braccetto con le neuroscienze. In che senso? Stimolare l’aspetto emozionale, mediante la tecnica dello Storytelling, attiva nel cervello dei circuiti cerebrali che conducono verso una maggiore propensione all'acquisto. È proprio questo che fa la pubblicità del Buondì Motta.

Nel campo del neuromarketing, si parla di “arousal”, termine che fa riferimento alla risposta generata dal nostro sistema nervoso, che diventa attivo e reattivo di fronte a un evento, un contenuto, un’immagine, in grado di stimolare la nostra attenzione. In più, l'effetto sorpresa attiva i meccanismi di attenzione e memorizzazione.

Il gioco è fatto: lo spot pubblicitario Motta di settembre 2017, poi riproposto con la puntata finale a marzo 2018, si è guadagnato un posto tra gli Epic Win degli ultimi tempi. 

In ogni caso, entrambe le aziende hanno ricevuto un’ondata di interazioni, attirato l’attenzione del proprio target di riferimento e sono state protagoniste delle conversazioni online e offline. Se lo scopo della pubblicità è che se ne parli, in un modo o nell’altro l’obiettivo è stato sicuramente raggiunto.

AIL - Associazione Italiana contro le leucemie, linfomi e mieloma, traina da ben 49 anni la ricerca scientifica per la cura di leucemie e altre malattie del sangue grazie a un network consolidato composto da volontari, donatori, medici e 81 Sezioni Provinciali, distribuite su tutto il territorio nazionale. Si è rivelata preziosa sia la partnership con l’Istituto italiano della Donazione, sia il sostegno del GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto), fondato da Franco Mandelli, medico ematologo presidente dell'AIL dal 2004.

L'Associazione ha fatto dell’assistenza al paziente e alle relative famiglie uno dei connotati fondamentali della sua missionLe ricerche, gli studi e gli esperimenti condotti, insieme agli altrettanti progressi nel campo della medicina, proseguono grazie alla costante raccolta di fondi di cui si occupa AIL, con un metodo che pone al primo posto la trasparenza nella gestione.

AIL ha capito che una presenza forte e incisiva online non è un elemento da sottovalutare e ha così deciso di intraprendere un percorso di digital transformation, teso a ottimizzare la comunicazione online secondo i principi della SEO e del digital marketing, applicati al settore della raccolta fondi.

Durante questo processo, Go Project - dopo aver collaborato con AIL a partire dallo scorso 2017 - ne è poi divenuta partner unico per l’anno 2018. Dalle campagne di paid advertising all’aumento del traffico organico qualificato, vediamo quali attività digitali sono state portate avanti. Gli scopi sono stati sensibilizzare sulla donazione del sangue e attrarre un nuovo target verso i temi dell’Associazione. È stato scelto Facebook come canale di comunicazione privilegiato, con la gestione della pagina AIL Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma ONLUS.

I Progetti realizzati da Go Project per AIL sono:

- Diamo vita alla ricerca insieme.

- Uova in Cerca d'Autore.

- 5x1000.

La Pasqua del 2017 ha segnato il momento topico del Progetto “Diamo vita alla ricerca insieme”. Si tratta di una campagna di comunicazione promossa da Go Project per le Uova di Pasqua AIL, ideata per generare engagement. Stavolta il mezzo è stato la condivisione di foto da parte degli utenti donatori che, dopo l’acquisto dell’Uovo di Pasqua AIL, erano invitati a postarne la foto sulla piattaforma e condividerla sui propri profili social. Il Progetto ha contato la condivisione da parte di più di 1.000 utenti nel giro di pochissimi giorni con l’hashtag #UovaAil2017.

Dato il trend positivo del 2017, il Progetto è stato riproposto anche nel 2018: il weekend del 16, 17 e 18 marzo 2018 ha visto come protagonista le Uova di Pasqua AIL in 4.500 piazze di tutta Italia, dove migliaia di volontari hanno offerto le uova di cioccolato, in cambio di un contributo minimo associativo di 12 euro.

Anche quest’anno l’attività di promozione online è stata caratterizzata da un’attività di digital PR nel mondo del food: stiamo parlando del Progetto “Uova in Cerca d’Autore”.

Nella Pasqua del 2017 6 chef stellati si sono cimentati in ricette da realizzare con la cioccolata delle Uova AIL: Heinz Beck, Gabriel Bonci, Cristina Bowerman, Maurizio Santin, Giulio Terrinoni e Gian Luca Forino. Mentre nel 2018 sono stati 5 famosi pasticcieri italiani a pilotare l’iniziativa, con 5 ricette pensate appositamente per AIL e le sue Uova di Pasqua: Iginio Massari, Franco Aliberti, Gian Luca Forino, Maurizio Santin e Marco Radicioni. Non a caso uno degli hashtag di battaglia è stato proprio #UovaInCercadAutore.

Un altro obiettivo raggiunto da Go Project ha riguardato il 5x1000, progetto al quale si è tentato di dare un vero e proprio “volto umano”. In che modo è stato perseguito questo scopo? Le storie personali di pazienti, volontari e medici hanno conferito al progetto quel surplus di voci ed esperienze. Tutto ciò ne ha potenziato l’interazione sul web e, in genere, la partecipazione, sia online che offline. Per raggiungere questo risultato è stato chiesto agli utenti di fornire un loro contributo, raccontando il proprio percorso. A tal fine, è stato creato un apposito blog che facesse da contenitore sia delle storie di ognuno, che degli aspetti più tecnici riguardanti la raccolta del 5xmille.

I numeri mostrano che le attività digital gestite da Go Project per AIL hanno riscosso grande successo: sono stati creati nuovi contenuti, nuova linfa per gli utenti, mentre quelli già esistenti sono stati valorizzati; il sito web è stato ottimizzato in ottica SEO. Nel giro di un anno la visibilità di AIL sui social è aumentata: si registra un aumento del 78% nelle visualizzazioni della pagina Facebook e un incremento pari all’84% degli accessi sul sito www.ail.it (Fonte: Google Analytics).

Siamo felici di poter affiancare AIL nel processo di valorizzazione digital delle loro attività. – È così che commenta Gianfilippo Valentini, CEO Go Project Srl, il quale conclude precisando “Continueremo ad investire per fornire ai nostri clienti competenza e innovazione”.

Ogni strategia di comunicazione, per meritare questo appellativo, deve essere strutturata ad hoc tenendo conto di variabili, esigenze, obiettivi, mercato di riferimento, tempistiche e budget a disposizione. Fatta questa breve premessa, possiamo affermare che oggi nel web marketing ci si è resi conto che una strategia integrata su più canali porta con sé numerosi risvolti positivi, sia a livello di engagement che in termini di ROI.

Da quale elemento partire per elaborare una strategia di marketing personalizzata? Il primo dato da tenere sott’occhio è il target, cioè quali sono i destinatari ultimi a cui vuoi rivolgerti. A seconda della loro fascia d’età, dei loro interessi e - anche - del tipo di prodotto che vendi, un determinato canale digitale sarà più adatto rispetto ad un altro per raggiungere i risultati prefissati.

Il primo step da compiere è individuare le buyer personas, cioè i potenziali clienti. Dopo averne studiato gusti e preferenze, possiamo chiederci quali potrebbero essere le loro esigenze, così da essere in grado di soddisfarle.

Non sottovalutare il mercato di riferimento, perché è molto importante capire quali tipo di strumenti vengono utilizzati. Infatti, ogni mercato raggruppa categorie di utenti che si distinguono, oltre che per bisogni e necessità, anche per comportamenti.

Motivo per cui è indispensabile comprenderne le dinamiche sottese per individuare il giusto tiro e, nel caso di specie, il canale migliore per veicolare il messaggio.

Si scrive multi-channel marketing e si legge possibilità di conversioni. Cosa vuol dire? I trend mostrano quali sono i canali digitali più utilizzati (e apprezzati) dagli utenti: il sito web dell’azienda si posiziona al primo posto, seguito a sorpresa dalla tradizionale email (parliamo di email marketing) e dai social media.

Puntando il focus sui canali social, che spesso rappresentano la chiave di volta per la lead generation, le interazioni risultano maggiori su Facebook e Instagram, mentre Twitter registra un ulteriore calo degli utenti registrati e attivi.

Tenendo sempre bene a mente che ogni canale di comunicazione adotta un linguaggio diverso, l’utilizzo di più canali contemporaneamente può tradursi in più engagement e, quindi, più conversioni.

In una prospettiva a lungo termine, la scelta di determinati canali può (e talvolta deve) essere ricalibrata non appena ci si rende conto, al momento di analizzare i risultati, che un determinato strumento ha ottenuto migliori risultati. È un’attività dinamica, dove la possibilità (infinita) di modifiche costituisce un pro che permette di sperimentare, analizzare e, se necessario, aggiustare il tiro.